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AZZERATO IL MANDAMENTO DI TRABIA

19 arresti e 13 indagati nell’entroterra palermitano

Dopo gli arresti dell’operazione “Black cat” del 2016, il mandamento mafioso di Trabia ha provato a ripartire. Ma le successive indagini e intercettazioni, tra il 2015 e 2022, hanno fatto fallire questo tentativo di riorganizzazione e hanno portato in carcere capi e gregari che si sono succeduti negli ultimi anni. Lunedì 4 marzo sono state così arrestate 19 persone e altre 13 sono indagate.

Questo mandamento, che un tempo aveva sede a Caccamo, è uno dei più vasti della provincia palermitana, comprendendo più di dieci famiglie mafiose di centri dell’entroterra a oriente del capoluogo (tra gli altri Termini Imerese, Roccapalumba Valledolmo, Alia, Caltavuturo, Montemaggiore Belsito).

Una delle figure principali dell’inchiesta è senz’altro Biagio Esposto Sumadele, considerato dagli inquirenti il reggente della famiglia di Trabia. Un potere a termine e provvisorio il suo, vista l’ingombrante presenza di Antonino Teresi che entra ed esce dal carcere continuamente. Fibrillazioni e contese che avrebbero originato non soltanto progetti omicidiari, fortunatamente non andati a buon fine, ai danni di Sudamele, ma anche un periodo in cui la gestione del mandamento sarebbe stata affidata a un triumvirato.

Altre figure di spicco tra gli arrestati sono Luigi Antonio Piraino, ritenuto capo del clan di Cerda e Sciara, e Carmelo Umina, capo della famiglia di Vicari.

Tantissime le estorsioni e intimidazioni ai danni soprattutto dei cantieri edili della zona. E ancora una volta le intercettazioni ci raccontano la vita quotidiana degli uomini delle cosche che hanno divergenze e contrasti sugli atteggiamenti da assumere nei confronti delle loro vittime. Alcuni, in particolare Luigi Antonio Piraino, ritengono che le richieste di pizzo non si devono fare subito con le maniere forti. In prima battuta bisogna invece adoperare metodi più leggeri (si fa per dire): “Non c’è bisogno che glieli bruci (i macchinari). Gli sfascio le corna, e poi vediamo” dice uno degli indagati.

L’altra importante attività di queste famiglie mafiose era l’approvvigionamento e lo smercio delle sostanze stupefacenti. Una capillare rete di controllo che gestiva tutte le piazze di spaccio della provincia, con i pusher direttamente alle dipendenze dei boss. Tra i tanti episodi di questo commercio illegale c’è quello raccontato dal collaboratore di giustizia Andrea Lombardo che parla del sequestro di dieci panetti di cocaina purissima da un chilo ciascuno avvenuto nel gennaio 2018 al porto di Palermo. In questo caso era stato stimato che la partita di droga proveniente da Napoli aveva il valore di circa 500 mila euro.

Giovanni Burgio

13.3.2024

I SORRENTINO DETTANO LEGGE AL VILLAGGIO SANTA ROSALIA

Una famiglia emergente

L’operazione antimafia “Villaggio di famiglia” che martedì 27 giugno 2023 ha colpito il mandamento mafioso “Pagliarelli” di Palermo, e in particolare la famiglia del Villaggio Santa Rosalia, ci dice molte cose sull’attuale assetto di Cosa Nostra.

Intanto si certifica che le varie famiglie dei vari mandamenti da molti anni ormai procedono in modo “autonomo e indipendente” dalle direttive che un tempo erano rigidamente imposte dai vertici territoriali mafiosi. Ma, in secondo luogo, si vede che c’è una collaborazione continua e costante fra famiglie mafiose che appartengono a mandamenti diversi.

Dice infatti l’ordinanza del gip Turturici “Nel corso degli anni nel territorio del Villaggio Santa Rosalia risulta avere assunto una rilevanza sempre maggiore un gruppo di potere che da decenni esercita la propria influenza nei confini territoriali… Il Villaggio Santa Rosalia rappresenta un’enclave mafiosa dotata di autonomo potere e capace di dispiegare una forte influenza in tutto il mandamento di Pagliarelli tanto da essere direttamente collegata ad altre famiglie di diversi mandamenti da fitte relazioni consolidatesi nel tempo”.

C’è stato quindi un cambiamento notevole rispetto alla rigidità e al verticismo dell’era della “monarchia assoluta” dei corleonesi. Oggi, infatti, si può vedere una maggiore autonomia di movimento delle famiglie e relazioni libere fra di loro. Autonomia e libertà che ai tempi di Riina erano molto più difficili da praticare, e che in ogni caso richiedevano di un via libera della Commissione.

Ma ci sono altre nuove indicazioni, quasi antropologiche, che si possono trarre da quest’inchiesta. Innanzitutto il ritorno alla famiglia di sangue, al gruppo familiare, per la trasmissione del potere. Lo scettro del comando infatti si trasferisce da padre in figlio. Un aspetto che, come afferma il professor Antonino Blando docente di storia contemporanea all’Università di Palermo, “… lega la mafia di oggi a quella di due secoli fa: il potere che viene tramandato per linea familiare, da padre in figlio, come accadeva nelle società antiche”.

Il Villaggio Santa Rosalia

E inoltre emerge un altro elemento ormai comune a varie altre inchieste: il ruolo determinante che assumono le donne. E le mogli in particolare, che al posto dei mariti che si trovano in carcere esercitano quotidianamente il controllo e la gestione degli affari illeciti.

Questi due ultimi cambiamenti comportamentali dell’agire mafioso li vediamo dalle video camere e li ascoltiamo dalle intercettazioni. Il capo della famiglia del Villaggio Santa Rosalia, Salvatore Sorrentino, impartisce ordini dal carcere al figlio Vincenzo, ma anche alla moglie Emanuela Lombardo. Quest’ultima poi mantiene i contatti diretti con le mogli degli altri boss arrestati.

La cosca del Villaggio Santa Rosalia è stata dunque colpita con 25 arresti, una persona ai domiciliari e sette interdizioni a svolgere attività imprenditoriali. Ma ci sono anche altre decine di indagati dei quali si sta approfondendo la posizione.

Questa indagine ci dice che al momento il vertice della famiglia sarebbe retto da Vincenzo Sorrentino, 22 anni, figlio di Salvatore detto “studentino” e già in carcere e braccio destro del noto Settimo Mineo. Il padre, nelle videochiamate fatte durante la pandemia e nelle visite che riceveva a Rebibbia, dava ordini e disposizioni al figlio, che a sua volta eseguiva le indicazioni senza fiatare.

Tra gli affari scoperti dagli inquirenti innanzitutto c’è il racket della fornitura di fiori ai commercianti dei cimiteri di S. Orsola e dei Rotoli. Infatti, i crisantemi della qualità San Carlino acquistati dal fornitore Franco Iemolo, esponente del clan Carbonaro-Dominante della stidda di Vittoria, venivano imposti ai commercianti dei due camposanti. E sono stati scoperti 13 casi di negozi gestiti tutti in nero. Chi si occupava di disciplinare questo settore era Andrea Ferrante, coadiuvato da Francesco Paolo Maniscalco definito dagli inquirenti “uomo d’onore della famiglia di Palermo Centro ad alta vocazione imprenditoriale”.

Altro settore su cui i Sorrentino avrebbero puntato la propria attenzione era la panificazione, non solo direttamente gestendo un panificio, ma soprattutto controllando la vendita degli ambulanti nei giorni festivi.

Giovanni Cancemi, invece, avrebbe rivolto il suo interesse verso il movimento terra. In questo campo, attraverso la Man Service, avrebbe creato un vero e proprio monopolio.

Chi avrebbe organizzato il traffico di cocaina con la Calabria sarebbe stato Leonardo Marino, che avrebbe smerciato la sostanza non soltanto nel palermitano e nel trapanese ma anche nella convenientissima piazza di Marsala.

Abbiamo già detto della moglie di Salvatore Sorrentino, Emanuela Lombardo. In prima persona e ripetutamente si sarebbe occupata di riscuotere il pizzo e disciplinare gli affari nel quartiere, come l’apertura di sale scommesse e i lavori di ristrutturazione di alcuni esercizi commerciali. Il tutto in piena sintonia e d’accordo con il marito con cui si consultava regolarmente anche se in carcere.

Sei le attività commerciali del valore di cinque milioni di euro finite sotto sequestro. Operavano nel campo della ristorazione, del commercio di generi alimentari, del trasporto merci su strada, del movimento terra.

Giovanni Burgio

4 agosto 2023

ANCORA UN DURO COLPO AL MANDAMENTO DI BRANCACCIO

Martedì 23 maggio con l’operazione Bag della squadra mobile di Palermo si è assestato un altro duro colpo al mandamento mafioso di Brancaccio. Undici persone sono finite in carcere, una ai domiciliari, quattro con obbligo di dimora, una irreperibile.

L’indagine è la prosecuzione di altre due operazioni, Tentacoli 1 e 2, avviate dal 2018 nel mandamento di Brancaccio, e che nel maggio dello scorso anno avevano già portato in carcere 31 persone.

In tutti questi blitz era emersa la stretta collaborazione fra vari mandamenti della città nell’organizzare il traffico di droga.  Infatti, nella gestione di questo lucroso affare nelle varie piazze della città, le famiglie di Porta Nuova, Tommaso Natale e Brancaccio non si erano fatto scrupolo di infrangere la rigida regola di Cosa Nostra che impone l’obbligo di non sconfinare in territori di competenza altrui. Come dire che prima di tutto vengono gli affari, e che riempire le casse dei clan è una priorità essenziale.

Nell’inchiesta Bag in particolare, il legame si è stretto fra le famiglie di Borgo Vecchio e quelle di Porta Nuova, così come nelle intercettazioni viene affermato da alcuni degli affiliati.

In tutt’e tre le inchieste un ruolo rilevante è stato ricoperto dai Marsalone, da sempre interessati alle vicende di droga. Appartenenti alla famiglia di Santa Maria di Gesù, ultimamente si sono avvicinati a quella di Palermo Centro (https://gioburgio.wordpress.com/2022/12/).

L’operazione Bag ha poi confermato un altro dato ormai costante nelle varie retate antidroga degli ultimi anni: le sostanze stupefacenti provengono dalla Calabria e dalla Campania. ‘Ndrangheta e camorra, infatti, da diverso tempo gestiscono in grande il traffico delle droghe, smerciandole in tutt’Italia e all’estero. Cosa Nostra si limita, invece, al controllo della vendita in Sicilia.

Tra i vari colloqui intercettati colpisce quello in cui Giuseppe Giuliano, personaggio di spicco di questa indagine, confessa l’ostinazione a delinquere, quasi un suo convincimento “esistenziale”. “È la mia vita – dice – Io se non faccio questa vita muoio, mi vado a prendere una pistola e mi sparo. O me ne vado da Palermo”.

Altro episodio registrato è il duro e spietato raid compiuto a Carini da un “picciotto” che aveva urgente bisogno di riscuotere il pagamento di una partita di droga da un cliente: armato di una “cazzottiera” ha violentemente colpito l’uomo alla presenza del figlio piccolo.

Giovanni Burgio

Palermo 3 giugno 2023

A BAGHERIA IL RIGIDO CONTROLLO DEL TRAFFICO DI DROGA

Operazione “Persefone 2”

Il blitz di giovedì 23 marzo che ha portato in carcere 9 persone, 8 ai domiciliari, 4 all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, investe ancora una volta la famiglia mafiosa di Bagheria. Infatti l’operazione Persefone 2” è il prosieguo dell’indagine Persefone che nel settembre 2021 fece arrestare 8 persone (https://www.maredolce.com/2021/09/24/mafia-a-bagheria-i-corleonesi-resistono-ai-palermitani/). Nella retata del 23 marzo coinvolte pure le famiglie palermitane di Brancaccio e Porta Nuova.

Al centro dell’inchiesta c’è il traffico e lo spaccio di droga. Uno smercio, in media, di un chilo e mezzo di cocaina al mese, i cui proventi in parte venivano utilizzati dai boss per sostenere le famiglie dei detenuti.

Iniziate nel 2019, le indagini hanno inquadrato il passaggio di potere da Onofrio Catalano a Massimiliano Ficano. Una successione al vertice della famiglia di Bagheria incruenta e indolore, tanto da lasciare al Catalano la gestione del traffico degli stupefacenti.

Nelle carte dell’indagine si legge che questa organizzazione mafiosa ha una struttura rigida e verticistica. Dice infatti il giudice “C’è stabilità dei ruoli, ripetizione delle condotte, disponibilità comune di auto e moto, una condivisa terminologia criptica, una rendicontazione sistematica”. Insomma, regole ben precise e un controllo capillare ed efficiente delle piazze di spaccio della cittadina del palermitano.

Base operativa fondamentale del traffico di droga era una casa con l’intero nucleo familiare coinvolto: Salvatore Salerno, la moglie Rosaria Di Gregorio, i figli Giuseppe e Leandro. Alle dipendenze del Catalano che procurava la merce, tutti i membri di questa famiglia si occupavano di rifornire i pusher e raccogliere i proventi. Soldi e conteggi nei quali si è in particolar modo distinta la donna, che con perizia e pazienza certosina effettuava i calcoli degli incassi.

A fornire le partite di droga alla cosca di Bagheria sarebbero stati i mandamenti palermitani di Porta Nuova e Brancaccio, rispettivamente nelle figure di Francesco Paolo Lo Iacono e Stefano Marino. Quest’ultimo, della famiglia di Roccella, è un personaggio molto noto alle cronache del traffico di droga a Palermo, oltre ad essere stato coinvolto assieme al fratello nelle truffe alle assicurazioni dei cosiddetti “Spaccaossa”.

Quest’inchiesta ha rivelato inoltre che per l’approvvigionamento degli stupefacenti, oltre ai consueti canali campani e calabresi, si stava tentando una nuova strada. Un contatto che avrebbe portato in Piemonte, e più precisamente a Torino.

Giovanni Burgio

31 marzo 2023

NON SOLO MESSINA DENARO

IN SICILIA NEGLI ULTIMI DUE ANNI COINVOLTE PIU’ DI 2.000 PERSONE

L’arresto di Matteo Messina Denaro non è un caso isolato, un evento straordinario. Non è un singolo squarcio di luce in una notte buia e tempestosa. Dopo le stragi del ’92 – 93, in questi trent’anni, le operazioni antimafia in Sicilia portate a termine dalla magistratura e dalle forze dell’ordine sono state innumerevoli, continue e incessanti. Centinaia e centinaia.

Cosa Nostra è stata colpita al cuore e non è più potente come una volta.

Tutti i corleonesi sono stati presi e stanno scontando l’ergastolo. I tentativi di ricostituire la Cupola sono naufragati grazie ad intercettazioni e arresti. In tutte le provincie siciliane le cosche hanno subito colpi notevoli. Le varie famiglie mafiose ogni due – tre anni vedono decapitati e imprigionati i loro vertici.

La conseguenza di questa attività contro i boss è che il mercato della droga, sia a livello nazionale che internazionale, non è più egemonizzato da Cosa Nostra. La ‘ndrangheta, infatti, ha preso il suo posto nell’approvvigionamento e nello smercio delle sostanze stupefacenti.

Il nichilismo che sempre accompagna retate e arresti, i pessimistici proclami della invincibilità della mafia, la sicumera con cui si afferma l’attuale connivenza tra organi istituzionali e mafia, vengono smentiti e mal si conciliano con fatti e riscontri, numeri e dati, processi e condanne.

Basterebbe citare le 75 operazioni che negli ultimi due anni, 2021-2022, hanno coinvolto più di 2.000 persone associate o fiancheggiatrici di Cosa Nostra siciliana.

Insopportabili e giustificati sono stati quindi lo scettiscismo dopo l’arresto del superlatitante, le miserevoli polemiche sulle mancate manette, il colto e supponente dietrologismo, la proclamazione dell’ennesima trattativa, il sempre presente complottismo disfattista.

Non ci si rende conto che così facendo, non solo si fa disinformazione, ma si produce sfiducia e sconforto nella gente. Si alimenta, anche, il nocivo qualunquismo verso la politica. Si offre, in sostanza, un inaspettato e non richiesto aiuto all’organizzazione criminale.

ARRESTI E INDAGINI ANTIMAFIA IN SICILIA NEL 2022

In Sicilia nel 2022 le operazioni antimafia sono state 40, così suddivise nelle varie provincie:

18 nel palermitano

13 nel catanese

3 nell’ennese

2 nel trapanese

2 nel messinese

1 nel siracusano

1 tra Messina e Catania

Nessuna nel ragusano, agrigentino e nisseno.

Gli arrestati sono stati 568; 81 i domiciliari; 200 gli indagati. Le misure cautelari 19, 3 le interdittive a svolgere attività imprenditoriale.

Il risultato totale è di 863 persone coinvolte. Un po’ meno delle circa 1.200 del 2021 (https://gioburgio.wordpress.com/2022/03/16/un-anno-di-operazioni-antimafia-in-sicilia/).

A Palermo città sono stati particolarmente colpiti i mandamenti di Porta Nuova (5 operazioni), Brancaccio-Ciaculli (4), Noce (2).

Nella provincia ci sono state retate contro le cosche di S. Mauro Castelverde, Misilmeri, Belmonte Mezzagno.

Da notare che nel catanese, sulle 14 operazioni portate a termine, ben 6 hanno riguardato il gruppo Santapaola.

PALERMO

UN CONTROLLO DEL TERRITORIO ASFISSIANTE

Concentrandoci soprattutto sulle operazioni concluse a Palermo il primo dato che emerge è quello del capillare e asfittico controllo del territorio da parte di tutte le famiglie mafiose. Un po’ meno nel centro città e soprattutto nelle periferie, il potere e il dominio delle cosche è assoluto.

Spaccio di sostanze stupefacenti, imposizione del pizzo, disciplina delle attività economiche, vengono quotidianamente esercitati da boss e soldati di Cosa Nostra.

Il territorio è suddiviso rigidamente metro per metro e tutti gli affari sono regolati dai capifamiglia che impongono le regole dell’organizzazione.

Le inchieste che hanno coinvolto la famiglia Mulè di Palermo Centro, Salvatore Profeta e Giovanni Adelfio di S. Maria di Gesù e Villagrazia, Carmelo Giancarlo Seidita della Noce, sono esempi della gestione economica d’interi quartieri. Nulla può sfuggire ai boss, neanche le feste rionali, persino il posizionamento delle bancarelle degli ambulanti. Pure l’apertura di una sala da barba deve essere permessa dal capo mafioso locale.

Censimento di tutte le attività commerciali e persecuzione degli imprenditori sono i principali obiettivi delle famiglie mafiose, che rilasciano nullaosta, riscuotono “regali”, impongono merci e personale.

In questi territori, libero mercato e concorrenza sono concetti astratti e un traguardo ancora lontano da raggiungere.

Ha detto la Coldiretti dopo l’operazione “Fenice” a Misilmeri “La malavita distrugge la concorrenza, il libero mercato legale, compromette in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti. E con l’estorsione e l’intimidazione impone l’utilizzo di specifiche ditte di trasporti o la vendita di determinati prodotti”.

IL PIZZO E L’AMBIGUITA’ DEGLI IMPRENDITORI DI CORSO DEI MILLE, BRANCACCIO, CIACULLI

Nel mandamento Brancaccio – Ciaculli si è registrato un ostinato silenzio delle vittime del pizzo.

Le operazioni “Tentacoli” e “Stirpe” del 20 luglio 2021,che avevano colpito le famiglie diBrancaccio, Corso dei Mille e Ciaculli, avevano certificato come nessun commercianteaveva resistito alla richiesta di denaro. Nessuna denuncia era stata fatta e nessuno aveva collaborato. Così, a fine marzo 2022 quaranta imprenditori sono stati indagati per favoreggiamento.

Nelle carte dell’indagine del successivo blitz del 17 maggio, sempre nello stesso mandamento, si leggeva che alle estorsioni non sfuggiva nessuno, né i piccoli rivenditori né i grandi commercianti. Lo “sfincionaro”, il negozio di bombole, la grossa azienda di trasporti, i grandi supermercati, tutti dovevano versare la loro quota “per sostenere le famiglie dei detenuti”. Ma soprattutto gli inquirenti facevano notare che sulle 50 richieste di pizzo documentate, solo dieci erano state ammesse dagli estorti.

A fine novembre, in questa stessa zona, altri 42 imprenditori sono stati indagati.

A questo punto è bene ricordare cosa è successo nei decenni passati in questa parte della città.

Nella seconda guerra di mafia dei primi anni ’80, i “corleonesi” di Brancaccio e Corso dei Mille hanno disseminato di morti, strade, vicoli e marciapiedi. Gruppi di fuoco, camere della morte, lupare bianche, hanno connotato terribilmente quegli anni.

Ebbene, la ragione per cui i commercianti nel corso di questi recenti blitz non hanno collaborato potrebbe forse risiedere nel fatto che questi luoghi sono stati sconvolti e atterriti dalla violenza mafiosa. Terrore e orrori vissuti dalle persone residenti probabilmente hanno un nesso con le mancate denunce e la scarsa collaborazione. L’anno scorso il generale dei carabinieri Arturo Guarino aveva affermato che “Certi nomi fanno paura a prescindere dai personaggi stessi”.

Ma Addiopizzo fa un’analisi diversa, e riferendosi al perdurante atteggiamento non collaborativo degli operatori economici, dice un’altra cosa, sottolineando un fattore nuovo: “Oggi a differenza del passato il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza.

L’associazione antiracket, infatti,ultimamente ha spesso evidenziato gli stretti legami di parentela, amicizia, o addirittura interesse, che molte volte legano vittime e carnefici. Uno stretto legame tra estorti ed estortori, che o c’è già, o s’instaura nel tempo. Un rapporto che non sempre si può definire d’imposizione, di sopruso, ma che invece assume l’aspetto di comune convenienza e reciproco interesse.

E per rompere questa perversa e oscura alleanza, Addiopizzo nei primi giorni del nuovo anno ha lanciato una rigorosa proposta: “Emergono a più riprese relazioni di contiguità tra molti che pagano senza remore le estorsioni e la criminalità organizzata. Si tratta di commercianti e imprenditori che operano in settori come quello dell’edilizia sul quale negli ultimi anni si è puntato con l’investimento di decine di miliardi di euro sotto forma di bonus fiscali. Riteniamo maturi i tempi per l’adozione di norme che inibiscano l’accesso a tali misure a quelle imprese che pagano estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa Nostra”.

L’OMICIDIO E L’ARRESTO DI 30 PERSONE NEL MANDAMENTO DI PORTA NUOVA

L’unico omicidio dell’anno in città ha provocato arresti, confessioni e colpi di scena (https://gioburgio.wordpress.com/2022/09/02/violenze-e-arresti-nel-mandamento-di-porta-nuova/). È avvenuto nel quartiere Zisa, mandamento mafioso di Porta Nuova.

Il 30 giugno è stato ucciso con tre colpi di pistola Giuseppe Incontrera, 45 anni. Sei giorni dopo, il 6 luglio ci sono stati 18 arresti. Dieci giorni dopo, altri 12 arresti. Gli inquirenti hanno detto che sono dovuti intervenire tempestivamente per scongiurare fughe e vendette. Infatti le intercettazioni, avviate già da tempo, facevano prevedere reazioni immediate e violente delle varie fazioni in campo.

Il mandamento mafioso di Porta Nuova negli ultimi anni si è rivelato un territorio ad alto tasso di omicidi e violenze: ben sei omicidi, tra cui quello “eccellente” dell’onorevole Fragalà, avvocato difensore di alcuni mafiosi. Ed è stato questo mandamento che nel 2022 ha subito la maggiore repressione da parte della magistratura e delle forze dell’ordine (5 operazioni antimafia).

In questa giurisdizione di Cosa Nostra i cognomi che contano sono quelli degli Abbate, Monti, Di Giovanni, Di Giacomo, Milano e Lo Presti. Nell’ultimo periodo sembrano prevalere le figure di Calogero Lo Presti, detto “Zio Pietro”, e Nicola Milano. Tutte queste famiglie sono imparentate e legate fra loro, con intrecci, omonimie, scontri e ribaltamenti di alleanze, che rendono difficile la lettura degli schieramenti e delle battaglie in corso.

Le ore e ore d’intercettazioni delle due operazioni Vento e Vento 2 che hanno portato in carcere le 30 persone hanno evidenziato sia l’assoluto controllo del territorio da parte delle cosche, sia l’ingente e incessante traffico di droga.

Il primo fenomeno è documentato dal pizzo estorto a tappeto a imprese edili, tabacchi, ristoranti, sale scommesse, negozi di biciclette. Ma anche dal divieto dei boss di aprire alcuni esercizi commerciali perché facevano concorrenza (è in questa zona che sono state vietate perfino le sale da barba).

L’affare della droga costituisce invece la maggiore entrata di questi clan che controllano le piazze di spaccio del Capo, di Ballarò e della Zisa. Con alcuni episodi che ci raccontano di una realtà cinica e spietata: l’offerta davanti ai SERT di dosi gratis ai tossicodipendenti che tentano di uscire dal tunnel; la fornitura di droga a domicilio 24 ore su 24 a persone che non vogliono correre il rischio di essere individuate; farmacisti che forniscono le sostanze chimiche per tagliare la droga.

IL TRAFFICO DI DROGA

Di fronte la difficilissima situazione economica creatasi con la pandemia di Coronavirus e la conseguente diminuzione degli affari di imprenditori e commercianti, “la messa in regola”, il pizzo, non costituisce più una facile fonte d’introiti per boss e picciotti.

Ecco allora che il tradizionale, sempre vivo e attivo traffico di stupefacenti si è rivelato la principale fonte di guadagno per le famiglie di Cosa Nostra.

L’operazione “Navel” nel mandamento Villagrazia – S. Maria di Gesù ci ha fornito il dato di 12 mila euro d’incasso al mese (https://gioburgio.wordpress.com/2022/08/09/la-vita-parallela-nei-quartieri-a-palermo/). Le due operazioni Vento e Vento 2 nel mandamento di Porta Nuova ci hanno dato la cifra di 3-4 mila euro al giorno per i clan, con un guadagno per i pusher di 100 euro giornalieri (https://gioburgio.wordpress.com/2022/09/02/violenze-e-arresti-nel-mandamento-di-porta-nuova/).

Un fiume di denaro che fa dire a Giuseppe Marsalone di S. Maria di Gesù, “Faccio sempre più soldi. Io i soldi li pesavo. Avevo sette persone che contavano soldi. Avevo un tavolo pieno pieno di soldi, tutto il giorno. Arrivavo a un punto che glieli facevo posare, perché ero stanco. Avevo la nausea” (https://gioburgio.wordpress.com/2022/12/16/big-club-sport-allombra-del-campetto-le-famiglie-fanno-cartello/).

Il commercio degli stupefacenti negli ultimi mesi si è espanso enormemente. Lo testimoniano le 250 misure cautelari emesse dagli inquirenti nei quartieri Sperone, Borgo Vecchio, Albergheria. Una lucrosa e fiorente attività che fa da “ammortizzatore sociale” per le numerose famiglie che versano in stato di bisogno e che si sono date al confezionamento e allo spaccio del Crack per risolvere i loro problemi economici.

Quella che noi abbiamo chiamato operazione Big Club Sport ha poi smentito il luogo comune che vuole Cosa Nostra rigida e fedele nel rispettare le regole interne all’organizzazione (https://gioburgio.wordpress.com/2022/12/16/big-club-sport-allombra-del-campetto-le-famiglie-fanno-cartello/). Questa indagine ha confermato che quando ci sono in gioco grossi affari e grandi introiti monetari le famiglie mafiose mettono da parte le vecchie norme e adottano metodi più moderni e dinamici. Infatti, la tradizionale e severa divisione territoriale fra le varie famiglie è stata ignorata e superata dai clan di Brancaccio, Porta Nuova e Tommaso Natale per guadagnare quanto più possibile dal traffico di hashish, marijuana, cocaina. Si sono create così alleanze e compartecipazioni che hanno visto più gruppi, anche molto distanti territorialmente, fare “cartello”.

E l’attuale stato di Cosa Nostra siciliana che non controlla più il traffico di droga, viene mirabilmente fotografato dall’esterno, da chi oggi detiene nelle proprie mani il commercio della droga. Dicono i trafficanti montenegrini e serbi a proposito delle famiglie mafiose palermitane: “Non sono più quelle di una volta, non hanno lo stesso calibro. Invece i calabresi…” (https://gioburgio.wordpress.com/2022/06/24/il-controllo-dellacqua-a-ciaculli/). La ‘ndrangheta infatti gestisce ormai da molti anni il commercio e lo spaccio delle principali sostanze stupefacenti.

LA NOVITA’ DEI “COMPRO ORO”

Accanto alle consuete attività illegali di Cosa Nostra, estorsioni e traffico di droga, l’operazione che giovedì 21 aprile ha portato in carcere 5 persone e 27 indagate ha segnalato un nuovo campo d’interesse delle cosche: i “Compro Oro” (https://gioburgio.wordpress.com/2022/05/).

Così come i centri scommesse, anche i “Compro Oro” sono sorti come funghi ad ogni angolo di strada negli ultimi anni. Se ambedue le attività sono state ampiamente utilizzate da Cosa Nostra per fare affari e riciclare denaro sporco, questo recente settore economico evidenzia la capacità dei boss di cogliere le nuove occasioni che via via si vanno offrendo. Si conferma così la particolare attitudine dei clan d’intuire i nuovi canali remunerativi e aggiornare i propri orizzonti criminali.

Al centro dell’inchiesta, alcuni “Compro Oro” di Palermo e Vincenzo Luca, longa manus della famiglia di Porta Nuova. Cinque le aziende sequestrate e cinque milioni di euro il valore patrimoniale dell’operazione.

Tutti i furti e le rapine nel territorio del mandamento dovevano essere autorizzati dai boss, e la refurtiva doveva essere obbligatoriamente portata da quei ricettatori “Compro Oro” specificatamente indicati. In sostanza, rapinatori e ladri dovevano rivolgersi solo alla “Luca trading” della famiglia Luca.

Alla fine del giro, la cosca imponeva il pizzo due volte: prima sul furto, poi dopo che l’oro veniva fuso.

COSA NOSTRA IN DIFFICOLTÀ RITORNA ALL’ANTICO

C’è un ulteriore elemento che si può notare dalle retate condotte a termine: il ritorno a vecchi sistemi e vecchi linguaggi.

A Ciaculli c’è ancora il controllo dell’acqua per irrigare i campi e i giardini di agrumi. Antichi termini come “zappa”, l’unità di misura del flusso dell’acqua, e “tumulo”, l’estensione del terreno, vengono pronunciati nelle intercettazioni dai boss di quartiere. E non solo: l’installazione di cancelli di ferro e l’apposizione di grossi catenacci rendono impenetrabili strade e poderi agli estranei e alle forze dell’ordine.

Nei mercati storici del centro città è poi tornata “la riffa”, l’antica e tradizionale lotteria di Cosa Nostra per imporre il pizzo e controllare le attività commerciali.

E sempre a Palermo Centro riaffiora un’altra vecchia abitudine degli appartenenti alle famiglie mafiose che si può definire quasi un carattere antropologico: l’uso dei soprannomi, delle ‘nciurie. Tutt’e nove gli arrestati del 15 dicembre ne hanno uno; alcuni due. Menzioniamone qualcuno: ‘U zio, Roma, Ricotta, Sicarru, Sicarieddu, ‘U pacchiuni, Benzina, Pompa (https://gioburgio.wordpress.com/2022/12/27/riffe-nciurie-e-bancarelle/).

Linguaggi, metodi, consuetudini, che sia nei vicoli del centro storico che nelle campagne della periferia ci riportano indietro nel tempo.

LE INTERCETTAZIONI E I NUOVI MEZZI TECNOLOGICI

In tutte le varie operazioni antimafia lo strumento che si è rivelato di straordinaria importanza è l’intercettazione telefonica.

Sin da quando i mafiosi escono dal carcere, poi salgono in macchina, vanno a casa, incontrano parenti e amici, viaggiano e fanno incontri, vengono monitorati minuto per minuto da cimici, microspie, telecamere e sensori di ogni genere. Autovetture, telefoni, case, sono imbottiti dei più innovativi mezzi elettronici. E anche quando i boss si sentono al sicuro, all’aperto, in piena campagna, sofisticatissime telecamere e intercettatori a lunga distanza riescono a captare immagini, conversazioni, confidenze delicate, sfoghi liberatori.

Lo sviluppo dei mezzi tecnologici degli ultimi anni ha dato un contributo essenziale alla lotta a Cosa Nostra. Venti o trenta anni fa non esistevano questi strumenti d’indagine. Oggi invece ci si può avvalere di questa moderna tecnologia che momento per momento permette agli inquirenti d’intervenire tempestivamente.

Questo è quanto è accaduto per esempio nelle due operazioni prima citate che hanno colpito il mandamento di Porta Nuova nel mese di luglio. Grazie agli elementi raccolti tramite le intercettazioni si sono sventate fughe d’indagati, vendette immediate, possibili omicidi. E lo abbiamo visto anche durante le elezioni amministrative a Palermo, quando per ben due volte alcuni candidati sono stati registrati in incontri e conversazioni con locali boss mafiosi appena usciti dal carcere.

Il clamoroso scivolone del neo ministro alla giustizia Carlo Nordio che ha affermato che “i mafiosi di sicuro non parlano ai cellullari” si può solo giustificare con la sua sporadica frequentazione delle indagini antimafia.

TRAPANI

L’operazione “Hesperia” del 6 settembre 2022 che ha coinvolto a vario titolo oltre 70 persone l’avremmo citata in ogni caso e ne avremmo scritto comunque. Ma il titolo che abbiamo dato a quel blitz “Si stringe il cerchio attorno al superlatitante” si è rivelato calzante e profetico dopo l’arresto il 16 gennaio 2023 di Matteo Messina Denaro (https://gioburgio.wordpress.com/2022/10/03/si-stringe-il-cerchio-attorno-al-superlatitante/).

In verità non ci aspettavamo una così rapida conclusione della latitanza dell’ultimo dei corleonesi, soprattutto perché i 30 anni di coperture e protezioni lasciavano presupporre ancora qualche mese in più di libertà del rispettato boss.

Ma è indubbio e innegabile che in questi ultimi 10 anni sono stati arrestati e indagati circa 250 tra complici, familiari, fiancheggiatori, prestanome, del superlatitante di Castelvetrano. E centinaia di milioni di euro è il valore dei beni sequestrati ai suoi complici.

Se molti si mostravano scettici che prima o poi l’ultimo dei corleonesi sarebbe caduto in trappola, in tanti ora dovranno riconoscere che invece con tutte queste retate era stata fatta terra bruciata attorno al boss.

Giovanni Burgio

25 Gennaio 2023

BIG CLUB SPORT: ALL’OMBRA DEL CAMPETTO LE FAMIGLIE FANNO “CARTELLO”

La potremmo chiamare Big Club Sport l’operazione antimafia che mercoledì 16 novembre ha portato in carcere 10 persone, 5 ai domiciliari, e ha indagato altri 20 fiancheggiatori. Infatti era in questo centro sportivo nella zona del Policlinico di Palermo gestito dalla famiglia Marsalone che si svolgevano le riunioni dei boss e si confezionavano le dosi di droga.

A reggere le fila del traffico due anziane figure delle famiglie palermitane di Cosa Nostra: Michele Micalizzi di Tommaso Natale – San Lorenzo e Salvatore Marsalone di Santa Maria di Gesù. Il primo è genero di Rosario Riccobono, uno dei boss perdenti uccisi dai corleonesi nella seconda guerra di mafia. Il secondo appartiene ad un nucleo familiare da sempre interessato al commercio degli stupefacenti e che ora si è avvicinato alla famiglia di Palermo Centro.

I due attempati boss avrebbero pure guidato una spedizione punitiva verso chi si rifiutava di pagare. E disquisivano sulla spranga di ferro da utilizzare per il pestaggio: forse ce ne voleva una più corta di quella procurata perché così sarebbe stata “più facile da trasportare, più maneggiabile”.

Un po’ più in basso di questi due capi, coinvolti nel traffico di stupefacenti ci sono le figure di Federico La Rosa e Vincenzo Vaglica. Mentre compaiono nell’inchiesta anche dei nomi già noti alle cronache degli ultimi anni: Girolamo Jimmy Celesia di Brancaccio e Maurizio Di Fede della Roccella.

Michele Micalizzi

Questa indagine ha fatto emergere come le famiglie di Cosa Nostra quando ci sono in gioco grossi affari e grandi introiti monetari mettono da parte le vecchie regole e adottano metodi e sistemi più moderni e dinamici. Infatti, la tradizionale e rigida divisione territoriale delle famiglie mafiose viene superata favorendo alleanze e compartecipazioni che vedono più gruppi, anche molto distanti territorialmente, fare “cartello”. In questo caso Brancaccio, Porta Nuova e Tommaso Natale si uniscono per lucrare quanto più possibile dal traffico di hashish, marijuana, cocaina.

Al centro di tutto, infatti, c’è un flusso continuo di droga, che in gran parte proveniva dai calabresi (due sono stati arrestati), ma che all’occorrenza si alimentava anche da Licata e Trapani. Ed è riemersa pure una via turco-iraniana, già abbastanza rigogliosa nel 2015, e che è ripresa due anni e mezzo fa; tutt’e due le volte è la famiglia Mondino che ricorre nelle indagini.

Per questo commercio di stupefacenti si è constatato un via vai di macchine, corrieri e “merce”, che ha originato molte cautele, provocato convulse contrattazioni, contrapposto stime e valutazioni diverse, coinvolgendo sia piccoli che grandi affiliati. Un fiume di denaro che fa dire a Giuseppe Marsalone, figlio di Salvatore, “Faccio sempre più soldi. Io i soldi li pesavo. Avevo sette persone che contavano soldi. Avevo un tavolo pieno pieno di soldi, tutto il giorno. Arrivavo a un punto che glieli facevo posare, perché ero stanco. Avevo la nausea”.

In questo frenetico traffico di droga un ruolo strategico avrebbe avuto una donna, Grazia Pace, legata a Giuseppe Marsalone. Sarebbe stata prescelta proprio lei per trafficare con i calabresi perché incensurata, giovane, e perché il rapporto con il Marsalone l’avrebbe messa al di sopra di ogni sospetto.

La donna, assieme ad altri arrestati, avrebbe pure speculato sulle polizze vita stipulate con alcune compagnie assicurative. Con tutta la documentazione falsificata (certificato di morte, referto dei sanitari dell’ambulanza, atto notorio di decesso), ben tre volte i finti deceduti hanno incassato ognuno  200 mila euro. Denaro che poi sarebbe stato investito nel traffico di droga.

16 dicembre 2022

Giovanni Burgio

LA VITA PARALLELA NEI QUARTIERI A PALERMO

I 24 arresti nel mandamento Villagrazia – S. Maria di Gesù

C’è una vita parallela a quella che la gente normale vive a Palermo, ed è quella condotta dai boss, dai loro affiliati e da chi in grande numero li circonda e segue. Non c’è quartiere che sfugge, né ceto sociale esente.

Sono soprattutto i settori economici, legali e illegali, che sono strettamente controllati dalle famiglie mafiose. Dalla festa rionale alla fornitura del caffè; dall’apertura di un cantiere edile alla compravendita di un motoscafo; dal ritrovamento di un’auto rubata alla riscossione di un debito non pagato. E naturalmente il consueto traffico di stupefacenti, l’imposizione del pizzo, il riciclaggio in attività economiche legali.

Piccoli e grandi affari privati che vengono affrontati, giudicati e risolti dai capi zona del quartiere. Una giurisdizione più rapida ed efficiente di quella statale alla quale si rivolgono persone che costituiscono il vero grande bacino di consenso di cui godono i boss mafiosi. Un seguito popolare ancora molto vasto e vivo.

È questo lo spaccato di vita reale quotidiana che viene meticolosamente descritto dalle indagini dell’operazione “Navel” che martedì 14 giugno hanno condotto in carcere 24 persone del mandamento Villagrazia – S. Maria di Gesù.

Come al solito, ci sono sempre gli stessi cognomi che di generazione in generazione si tramandano lo scettro del comando. Nonni, figli e nipoti che però, sempre più spesso e repentinamente, passano dal potere assoluto esercitato sui territori di competenza alla vita di anni e anni di carcere. Un destino insieme di onnipotenza ed espiazione.

Al vertice di S. Maria di Gesù c’è il giovane ventunenne Salvatore Profeta; a Villagrazia comanda Giovanni Adelfio, ma troviamo pure Sandro Capizzi. Le altre figure di rilievo sono Salvatore Freschi, Ignazio Traina, Massimo Mancino, Girolamo Rao, Francesco Guercio.

La conferma del potere assoluto dei capimafia sul territorio l’abbiamo dalle intercettazioni che parlano della festa rionale di fine settembre 2019 nel quartiere Oreto. Non solo la quota da sborsare, le postazioni degli ambulanti e il prezzo delle bibite, ma anche una preoccupazione spasmodica per l’ordine pubblico. Si stabiliscono infatti le strade da tenere chiuse e si dispone il divieto di vendere le bottiglie di vetro. Un vero e proprio Stato dentro lo Stato.

Via Oreto

Esempio paradigmatico della signoria territoriale praticata dai clan viene offerto dalla disputa sul Largo Lionti nella zona di via Oreto. Poiché questo piazzale tocca i confini dei due mandamenti limitrofi di “S. Maria di Gesù – Villagrazia” e “Brancaccio – Ciaculli”, non si sa a quale famiglia deve versare “la messa a posto” l’impresa edile che fa i lavori proprio lì. E così la controversia viene affrontata con regolari incontri e colloqui fra i capi delle due famiglie.

Queste indagini hanno confermato sia la posizione centrale di piazza Guadagna nello smercio della droga, sia il legame fra i fornitori di S. Maria di Gesù e gli spacciatori dello ZEN. Un commercio che gli stessi indagati quantificano in 12 mila euro al mese.

Inoltre si è accertata l’esistenza di una cassa comune dei clan dove fare affluire i proventi illeciti da destinare essenzialmente alle famiglie dei carcerati (in alcuni casi 500 euro a settimana). Un’ulteriore riscontro che provvedere ai detenuti è un pilastro fondamentale di Cosa Nostra per continuare a sopravvivere.

Come in alcune scene del “Padrino”, sono stati documentati matrimoni e funerali dove sfilano i boss delle varie famiglie palermitane e della provincia. Occasioni in cui si annotano le presenze ma si segnalano anche le assenze. Eventi che servono per stringere legami o rompere vecchie alleanze.

E per finire teniamo presente cosa pensa Salvatore Profeta, capo della famiglia di S. Maria di Gesù, dell’educazione da dare ai ragazzi del quartiere. A un ragazzo che ha ubbidito alla madre alzandosi presto la mattina per andare a scuola rimprovera “Ma non ti avevo detto che non ci dovevi andare a scuola oggi?”.

Cioè, coprire la piazza di spaccio della Guadagna così da soddisfare in ogni momento le richieste dei consumatori è per i mafiosi sicuramente più importante e fondamentale di studiare e andare a scuola.

Viene assicurato così ai giovani dei quartieri palermitani un futuro di successo e di ricchezze che gli eviterà una vita di duro impegno e onesto lavoro. Ecco i valori e principi che si vivono e si praticano ogni giorno a Palermo.

Giovanni Burgio

IL CONTROLLO DELL’ACQUA A CIACULLI

Nel blitz che a Palermo il 17 maggio ha portato in carcere 31 persone del mandamento mafioso di Brancaccio – Ciaculli ritroviamo tutta la storia, tutto l’excursus e l’evoluzione che Cosa Nostra ha fatto nel corso dei decenni.

Dal controllo delle acque e delle guardianie, al traffico di sostanze stupefacenti e riciclo di denaro sporco dei centri scommesse. Antichi termini come “zappa”, l’unità di misura del flusso dell’acqua, e “tumulo”, l’estensione del terreno, vengono pronunciati dai boss di quartiere insieme a “panetti di droga” e “pannelli di giochi on line”.

E come sempre c’è il capillare ed esclusivo controllo del territorio. Questa volta esercitato alla vecchia maniera, cioè con l’installazione di cancelli e l’apposizione di catenacci per rendere difficili e impenetrabili strade e poderi agli estranei e alle forze dell’ordine.

Ma non si tralasciano estorsioni e intermediazioni immobiliari resuscitando l’antica “sensaleria”.

Abbiamo quindi tradizione e innovazione, un insieme che ha sempre contraddistinto Cosa Nostra e che le ha permesso di resistere a guerre interne e repressioni esterne, giungendo intatta e in buona salute fino ai nostri giorni.

E poi c’è l’attuale stato di Cosa Nostra siciliana, mirabilmente fotografato dall’esterno, da chi oggi detiene nelle proprie mani il commercio della droga. Dicono i trafficanti montenegrini e serbi delle famiglie mafiose palermitane: “Non sono più quelle di una volta, non hanno lo stesso calibro. Invece i calabresi…”.

L’acqua è essenziale per la crescita degli agrumeti a Ciaculli

Tra gli arrestati il personaggio senz’altro più importante è Antonio Lo Nigro, ‘u ciolla. Pedigree mafioso di tutto rispetto (famiglia di contrabbandieri di sigarette, nonna dei Tagliavia di Corso dei Mille, cugino che procurò l’esplosivo della strage di Capaci, i fratelli Graviano sono suoi cugini), è considerato a Palermo uno dei pochi che può trattare grossi carichi di droga. Attualmente sembra ricoprire un ruolo di rilievo nella zona Brancaccio – Corso dei Mille.

Altre figure di spicco che emergono dalle indagini sono Emanuele Prestifilippo, che oltre a gestire tutto l’affare dell’acqua sarebbe stato l’armiere del clan, e Andrea Seidita, che avrebbe avuto un compito soprattutto logistico ma anche di gestione del gioco clandestino on line.

Alle estorsioni non sfuggiva nessuno, né i piccoli rivenditori né i grandi commercianti: dal negozio di bombole e lo “sfincionaro”, all’azienda di trasporti e i supermercati. Quelle documentate sono state 50, dieci gli imprenditori che hanno collaborato. E ancora una volta Addiopizzo sottolinea lo stretto legame che spesso c’è già, o s’instaura, tra gli estorti e gli estortori. Un rapporto che non sempre si può definire “vittima – carnefice”, ma che invece spesso assume l’aspetto di comune convenienza e reciproco interesse.

80 i chili di droga sequestrati per un valore di 8 milioni di euro. Un affare da 80.000 euro a settimana condotto dalle cosche dello Sperone.

E che la fantasia criminale dei mafiosi non ha limiti lo certifica il furto pianificato in piena pandemia nel febbraio 2021. All’ospedale Civico di Palermo furono rubati venti cartoni di mascherine FFp3. Un totale di 16.000 pezzi poi rivenduti ad un contrabbandiere di sigarette di Ballarò.

Sequestrate due imprese commerciali del settore del caffè, due agenzie di scommesse, una rivendita di pesce.

Giovanni Burgio

LA VITA IN COSA NOSTRA. DA PADRE IN FIGLIO UNA DANNAZIONE ETERNA

di Giovanni Burgio

L’arresto il 13 febbraio 2022 di Giuseppe Guttadauro e suo figlio Mario Carlo ha dato modo di osservare la vita di queste due persone e riflettere su alcune ben precise caratteristiche del mondo di Cosa Nostra.

Innanzitutto la pervicacia dei membri del sodalizio mafioso nel reiterare in tutto il corso della loro vita la condotta illegale. Cioè, un’ostinata determinazione nel continuare a delinquere sempre. E poi, la trasmissione ai discendenti diretti e indiretti della famiglia di sangue del proprio comportamento spietato e criminoso. Un’eredità scellerata da tramandare alle generazioni future.

Un modo di vivere, una concezione, una maniera di pensare, soggettivo e di gruppo, che ripetono all’infinito i principi e i disvalori dell’organizzazione mafiosa.

GIUSEPPE GUTTADAURO

Giuseppe Guttadauro, ex primario dell’ospedale civico di Palermo, viene iniziato alla vita e alle attività mafiose da Filippo Marchese, il sanguinario esponente mafioso di Corso dei mille degli anni ‘80. A poco a poco scala i vertici del mandamento di Brancaccio, fino a prenderne la direzione, che secondo alcuni avviene dopo l’arresto di Giuseppe Graviano.

Ma è l’intero nucleo familiare di Guttadauro che è continuamente coinvolto in indagini antimafia. Dapprima il cognato Vincenzo Greco, poi, anche se prosciolto dalle accuse, il fratello Carlo. E poi ancora la moglie e un figlio. Ma soprattutto il fratello Filippo, cognato del latitante numero uno di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro.

La vita e le gesta di Giuseppe Guttadauro, vecchia figura delle pagine di cronaca nera, sono tutto un susseguirsi di arresti e condanne. Viene arrestato una prima volta nel 1984 per associazione mafiosa e condannato al Maxiprocesso a sei anni e sei mesi di reclusione. Nel 1994 viene di nuovo portato dentro nell’ambito dell’operazione “Golden Market” e condannato a tre anni e sei mesi. Nel novembre 2002 è ancora dietro le sbarre rimanendo coinvolto nell’inchiesta che porta il Presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro in carcere; questa volta la condanna è di 13 anni e 4 mesi.

Giuseppe Guttadauro

Ritornato libero nel 2012, si allontana da Palermo, un po’ perché indesiderato, un po’ per sfuggire a facili catture. Si trasferisce quindi a Roma, dove però, in base alle indagini che ora l’hanno riportato in carcere, sembra riprendere la sua attività criminosa: traffico di droga, minacce, affari e controllo del territorio nel palermitano.

IL FIGLIO MARIO CARLO

Ebbene, questo prezioso pedigree malavitoso e il perdurante agire mafioso di Giuseppe Guttadauro sembrano essere stati trasmessi al figlio Mario Carlo, arrestato lo stesso giorno del padre, domenica 13 febbraio. Sarebbe successo cioè che tutto il know-how di Cosa Nostra acquisito dal genitore nei decenni precedenti sia stato trasferito al figlio. La sicurezza per le famiglie di Roccella-Corso dei Mille-Brancaccio che la loro tradizione criminale si sarebbe perpetuata nella propria zona d’insediamento.

Nelle intercettazioni di questa ultima inchiesta, infatti, ascoltiamo Giuseppe Guttadauro trasfondere i valori e gli ideali mafiosi al figlio. Profondamente nauseato dal pentimento dei due capi mandamento Francesco Colletti e Filippo Bisconti, il padre confida al figlio “Ti devi evolvere. Non puoi scendere al livello di questi qua, questi nuovi picciutteddi. Così non va bene. Devi metterti ad un livello diverso. Evolverti, ma rimanendo con quella testa legata ai vecchi principi e alla mentalità dei vecchi capi”.

Gli insegnamenti del padre al figlio sono di carattere minimo, elementare, come non farsi vedere con gli altri componenti del clan, non farsi intercettare al telefono, soprattutto assumere negli eventuali controlli di polizia “… calma. Mettiti tranquillo, calmo. Devi dire che sei uno studente e che ti stai laureando in odontoiatria” (nonostante gli avvertimenti, però, Mario Carlo si fa intercettare quando afferma di essere parente del latitante più ricercato d’Italia e il secondo del mondo: Matteo Messina Denaro).

Così, con questi consigli e orientamenti, a poco a poco, il giovane Guttadauro diventa la longa manus del padre, una sorta di suo alter ego che da Roma continua a trafficare e a interessarsi della conduzione della famiglia.

Fa quindi la spola di continuo da Palermo a Roma e tiene i contatti fra il boss in esilio e i membri del sodalizio nel territorio siciliano. Ed è proprio Mario Carlo che inoltra le richieste e trasmette le decisioni. Fra le tante, quella di un imprenditore che chiede di potere lavorare tranquillamente a Brancaccio. Giuseppe Guttadauro prontamente accoglie la pregheria, e tramite il figlio intercede nei confronti di coloro che in quel momento comandano nella zona. L’imprenditore ha ottenuto così il via libera.

Altro episodio imputato al giovane Guttadauro, che deve però essere accertato, è il pestaggio di un commerciante reo di avere diffuso delle voci infamanti su alcuni membri della famiglia.

CONCLUSIONI

Insomma, la vita e la storia dei Guttadauro, padre e figlio, rappresentano benissimo alcune delle fondamenta del fenomeno mafioso: la persistenza nel tempo dell’agire criminale, l’impossibilità per i membri dei clan di uscire dal tunnel infernale, la trasmissione alle nuove generazioni della mentalità e cultura di Cosa Nostra.

Una dannazione perenne da patire e un destino a cui non si può sfuggire per chi si riconosce in questa organizzazione primitiva.

UN ANNO DI OPERAZIONI ANTIMAFIA IN SICILIA

Nel 2021 le operazioni antimafia condotte in Sicilia sono state 35. Portate a termine dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, hanno interessato tutte le provincie dell’Isola, eccetto Trapani e Ragusa.

Ecco i dati in dettaglio:

512 persone arrestate, 5 ricercate, 105 ai domiciliari;

19 obblighi di dimora, 5 divieti di dimora, 22 obblighi di firma.

Un insieme di circa 650 persone coinvolte direttamente nelle attività delle cosche e accusate di farne parte organicamente.

Quelli che invece ruotano attorno e sono vicini a Cosa Nostra, cioè gli indagati, sono stati 551, con 25 interdizioni a svolgere attività economiche e professionali. Questi personaggi sono quelli che comunemente vengono definiti collaterali o collusi con il mondo mafioso. Formano quel sottobosco affaristico-economico che fiancheggia i clan per coprire i traffici illeciti e riciclare il denaro sporco.

Tra prime e seconde linee, quindi, abbiamo un totale di circa 1.200 persone fermate e coinvolte in un anno dalle inchieste antimafia.

Sulla dislocazione di queste retate c’è da notare che la gran parte, 27, è stata eseguita nelle città di Palermo e Catania e loro provincie. E, particolare ancora più interessante, ben 4 sono state effettuate ad Adrano, comune della città metropolitana di Catania.

E, altro dato interessante, si conferma la storica differenza nell’economia siciliana fra la parte orientale e quella occidentale, con una maggiore propensione agli affari della sponda ionica. Infatti, quasi tutti gli indagati, quelli cioè che trafficano e fanno da prestanome ai boss, sono nella Sicilia dell’est (490 su 551).

IL GIOCO D’AZZARDO E LE SCOMMESSE ON LINE

Il primo elemento che emerge analizzando le singole operazioni è il nuovo modo dei clan di fare i soldi.

Negli ultimi anni, le decine e decine di punti scommesse che vediamo sorgere dal nulla e all’improvviso nelle nostre strade, al 50% sono frutto del traffico di droga e luogo di riciclaggio di denaro sporco. Per Cosa Nostra questo specifico settore economico si è rivelato utilissimo per nascondere e moltiplicare gli introiti illeciti. Una fonte inesauribile di denaro contante da far affluire nelle tasche delle cosche. Un intero universo economico che sfugge alle statistiche ufficiali.

Questo nuovo affare è presente in gran parte delle operazioni antimafia portate a termine l’anno scorso. L’operazione “Doppio gioco” è stata senz’altro la più sensazionale e ha svelato le connessioni e le connivenze necessarie per sviluppare questo tipo di speculazione. https://www.maredolce.com/2021/06/08/tre-mesi-di-operazioni-antimafia-dalla-gomorra-siciliana-alla-polonia/

Da Lineri, frazione di Misterbianco, si diramavanoin tutt’Italia una rete di 887 agenzie di scommesse sportive e giochi on line. La vera ricchezza solo in minima parte si faceva attraverso internet. Infatti la maggior parte si accumulava con le scommesse “da banco”, cioè quelle effettuate in presenza e in contanti. Una massa di denaro di 32 milioni di euro che poi veniva trasferita in Polonia e a Malta. Da lì tornava di nuovo in Italia, in Emilia Romagna e Puglia, sotta forma di acquisto di terreni, fabbricati e attività produttive.

Server e software venivano gestiti da ingegneri informatici in Serbia, mentre la proprietà della piattaforma on line era maltese. Tutto questo per occultare il legame tra l’Italia e i riciclatori stranieri.

Anche l’Operazione “Provinciale” condotta a Messina ha visto coinvolti mafiosi e maltesi. Questi ultimi erano i gestori di noti brand di scommesse on line e gioco d’azzardo nelle sale giochi.

Mentre con l’operazione “Apate” nelle provincie di Catania, Messina, Siracusa, Enna ed Agrigento, sono state chiuse e sottoposte a sequestro 38 agenzie di scommesse. Un insieme di beni patrimoniali aziendali, conti correnti, rapporti finanziari, del valore di 30 milioni di euro.

Ma il nuovo affare del gioco on line è stato fiutato e accettato anche dai boss palermitani, che hanno dislocato i vari punti scommesse secondo il rigido principio della suddivisione territoriale.

L’operazione “Game over II” ha coinvolto la cosca di Passo di Rigano. L’enorme massa di denaro prodotta, proveniente dalle 12 agenzie sparse a Palermo e provincia, oltre gli altri punti vendita nel ragusano, messinese, agrigentino e trapanese, è stata stimata in 14 milioni al mese.

E che i soldi, quelli veri, si fanno con le scommesse on line, lo conferma l’operazione “Bivio 2” a Tommaso Natale: il proprietario di diverse sale gioco versava come “pizzo” nelle casse di Cosa Nostra 1.000 euro ogni settimana.

I MERCATI DELL’ORTOFRUTTA

L’altro settore economico che si è rivelato per le cosche estremamente remunerativo è stato quello dell’ortofrutta.

Il colpo al clan Trigila nel siracusano e l’inchiesta “Xydi” nell’agrigentino, a Canicattì, hanno confermato che in tutta la fascia meridionale dell’Isola si fanno affari milionari nei mercati ortofrutticoli. https://www.maredolce.com/2021/03/02/un-mese-di-successi-delle-forze-dellordine-nella-lotta-alla-mafia-in-sicilia/

Ma non sono solo i quintali di frutta e verdura esportati in tutto il mondo che sono altamente lucrosi. Gli affari i clan li fanno anche nel settore dei trasporti su gomma di queste merci, nella costruzione di pedane e imballaggi, nella produzione e commercio dei prodotti caseari.

E soprattutto, sono state alterate pesantemente le normali regole della concorrenza con l’imposizione a tutti i coltivatori di sensali fedeli alle cosche, con i versamenti di percentuali sugli affari conclusi, con la posizione dominante di alcuni produttori, con il rigido controllo su tutta la filiera.

IL TRAFFICO DI DROGA E I LEGAMI NAZIONALI E INTERNAZIONALI

Naturalmente non è mancata la tradizionale gestione del traffico di stupefacenti.

Cosa Nostra dopo le stragi del ’92-93 non ha più esercitato il controllo sul traffico delle sostanze illegali. Il suo posto è stato preso dalla ‘Ndrangheta calabrese. E oggi, per il necessario approvvigionamento, si ricorre ai mercati dell’est europeo, del Nord Africa e del Sud America. Comunque, chi smercia e vende le varie sostanze in Sicilia deve per forza sottostare ai boss che controllano il territorio.

L’inchiesta “Adrano libera” ci ha rivelato il lungo percorso delle droghe. Dall’Albania, tramite la ‘Ndrangheta, le sostanze stupefacenti sono andate in Lombardia. Da lì poi la merce è partita verso la Sicilia.Un cammino ormai consueto in questi ultimi anni. Dall’est europeo, passando per il Nord d’Italia, eroina, cocaina, marijuana, vengono venduti in Sicilia. https://www.maredolce.com/2021/03/02/un-mese-di-successi-delle-forze-dellordine-nella-lotta-alla-mafia-in-sicilia/

Partinico, in provincia di Palermo, è ormai da anni diventata la Medellin d’Italia. Un territorio dove si coltivano tutti i vari tipi di erba allucinogena. Le due operazioni “Gordio” e “Parsiniqua” ci hanno rivelato l’elevatissimo “know-how” raggiunto dalle cosche locali. Tanto competenti, esperte e specializzatesi nella coltivazione del “fumo”, da colonizzare tutta la Sicilia. A Ragusa, Butera, Riesi, si sono messi a frutto anni e anni di esperienze e conoscenze: quale tipo di sementi scegliere, quale qualità preferire, optare fra le diverse tipologie di erba dopo aver studiato la qualità del terreno, ecc. ecc. Insomma, una vera e propria università degli studi della cannabis.

Ma in queste due inchieste a Partinico sono emersi anche i legami con le altre mafie. Per la cocaina si è fatto ricorso al potente gruppo criminale rom dei Casamonica nel Lazio, alla camorra napoletana, e soprattutto alla ‘ndrangheta calabrese. In particolare alla ‘ndrina deiPesce di Rosarno e ad alcuni calabresi di Milano e Bergamo.

A Palermo, in quaranta giorni sono state effettuate ben cinque retate dei carabinieri contro lo spaccio di sostanze stupefacenti, con 112 misure cautelari. L’operazione “Brevis II” ha scoperto chi ha inondato di droga le piazze di Palermo. A gestire l’intero traffico, ancora una volta con il supporto della camorra e della ‘ndrangheta, è stato il mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli.

L’hashish, proveniente dal Nord Africa, raggiungeva Palermo con corrieri campani. La cocaina invece arrivava dal Sud America tramite un calabrese di Locri.

Il giro d’affari è stato calcolato in tre milioni di euro l’anno. Un’economia alternativa a quella legale che fa da fonte di reddito a centinaia e centinaia di famiglie. Gran parte della ricchezza cittadina proveniente da traffici illeciti che circola liberamente e incontrollata.

LE ESTORSIONI

A Leonforte, in provincia di Enna, l’operazione “Caput silente” ha soprattutto arginato il fenomeno estorsivo. Nel corso delle indagini, infatti, si sono documentati parecchi danneggiamenti ad imprenditori aderenti a un’associazione antiracket e a due poliziotti.

Ma è stata l’operazione “Sotto scacco”che ha colpito i clan di Paternò e Belpasso che ha fatto clamore. In campo nazionale la rivolta di Giuseppe Condorelli contro il pizzo ha fatto notizia. Il rifiuto di pagare da parte dell’imprenditore dei famosi torroncini è stato da tutti approvato ed esaltato.

Ma la denuncia di Condorelli ha rappresentato purtroppo un’eccezione. La realtà emersa dalle indagini è un’altra: commercianti e imprenditori hanno fiancheggiato e favorito gli affari illeciti dei boss. Abbiamo quindi un commercio e un’economia profondamente sporchi e fortemente alterati dalla violenza mafiosa, un inquinamento del tessuto economico locale molto diffuso e opprimente. E questo grazie alla complicità di alcuni imprenditori.

Comunque, come si è visto nelle operazioni condotte nei quartieri di Palermo, le denunce delle vittime del pizzo procedono a macchia di leopardo. Nel mandamento di Porta Nuova, a Tommaso Natale e Resuttana, c’è una notevole collaborazione con le forze dell’ordine. A Brancaccio, Ciaculli e S. Maria di Gesù, invece, tutti tacciono e nessuno parla.

I NEOMELODICI E LE FESTE RIONALI

Qualcosa che sempre più emerge nei fenomeni criminali nel sud d’Italia è la vicinanza agli ambienti criminali dei cantanti neomelodici. Nelle inchieste portate a termine sia a Palermo che a Catania si sono trovati riscontri a questo tipo di contatti.

A Palermo, nelle feste rionali di Borgo Vecchio la mafia ha deciso sia i cantanti neomelodici da far esibire, sia il loro cachet. Inoltre, i boss locali raccoglievano i soldi necessari per organizzare la festa e assegnavano gli spazi dove si sarebbero messi i venditori ambulanti.

Si potrebbe pensare che si tratta di un potere “povero”, limitato alle canzoni in piazza. In realtà, invece, si è esercitato un controllo strettissimo sulle attività economiche e sui commercianti che non hanno potuto sottrarsi al versamento delle quote per sponsorizzare la festa. E non solo a Borgo Vecchio, ma anche in corso Finocchiaro Aprile.Insomma, interi quartieri della città sotto scacco.

A Catania, nel rione Picanello, è venuto fuori che tra gli affari più importanti dei clan c’era l’investimentoin una casa discografica. Questa etichetta di registrazione utilizzata da molti cantanti neomelodici avrebbe fatto da “lavatrice” di denaro sporco.

ADRANO

Un susseguirsi incessante e capillare di operazioni di polizia e carabinieri si è verificato ad Adrano. Nel comune di 34.000 abitanti della città metropolitana di Catania ci sono state 4 delle 35 inchieste antimafia.

“Follow the money”, “Adrano libera”, “Triade”, “Impero”, hanno colpito duramente i clan mafiosi Scalisi e Santangelo-Taccuni. I 56 arresti, i 9 obblighi di dimora, i 101 indagati,hanno decimato gli adepti e i collusi delle due cosche.

Le famiglie mafiose adranesi si sono distinte nel traffico di droga e nel riciclaggio di denaro sporco nel nord d’Italia. Un affare che partendo dall’Albania, tramite la ‘ndrangheta, è arrivato in Sicilia. Ma ci sono state pure le truffe all’INPS: centinaia di migliaia di euro incassati dichiarando falsi braccianti agricoli.

MESSINA E LA SUA PROVINCIA

Un occhio speciale va rivolto al messinese, che di provincia “babba” non ha nulla. Anzi, si è scoperta particolarmente cruenta e spietata.

Nella riviera ionica messinese i clan si sono spartiti locale per locale lo spaccio di cocaina, hashish e marijuana. Un’organizzazione minuziosa ed efficiente che si è avvalsa soprattutto di giovanissimi pusher particolarmente spregiudicati: chi non riusciva a pagare la droga veniva duramente malmenato; chi era sospettato di essere un confidente della polizia, riempito di botte.

Nel quartiere Giostra di Messina, invece,la guerra fra clan si è fatta con sparatorie nei bar, incendi di macchine, attentati alle persone. E questo per controllare l’enorme traffico di stupefacenti che era operativo giorno e notte, movimentando centinaia e centinaia di venditori, pusher, consumatori-spacciatori. L’operazione “Market Place” ha documentato oltre 1.000 episodi di vendita di droga, facendo definire il rione Giostra la Scampia di Messina.

LA STIDDA

Segnali vitali importanti li ha dati la Stidda. Si tratta di bande criminali presenti nell’entroterra e nella costa meridionale della Sicilia (Agrigento, Gela, Ragusa). Nate alla fine degli anni ’80, sono autonome da Cosa nostra, e spesso in contrapposizione o conflitto con essa.

Considerata dai più ormai estinta, a Canicattì è invece entrata nel lucroso affare del commercio dei prodotti ortofrutticoli. In questo caso, l’inchiesta “Xydi” ci ha rivelato che tra le due organizzazioni rivali, Cosa Nostra e Stidda, si è arrivati a una pax mafiosa. Tregua comunque armata, come dicono gli investigatori e ci insegna la storia.

Ma è a Mazzarino, con l’operazione “Chimera”, che si è vista la ferocia primitiva della Stidda. Un ragazzo di soli 22 anni è stato bastonato e strangolato; poi seppellito e diseppellito perché il corpo emergeva troppo in superfice. Un altro ragazzo di 28 anni è stato orrendamente torturato e mutilato: prima delle orecchie, poi del naso, infine delle dita delle mani. Ma il poveretto, che non faceva parte delle varie bande, non sapeva nulla. E a quel punto, però, non poteva che essere ucciso.

Oltre che con le estorsioni e le truffe agricole, la Stidda si è arricchita soprattutto con la droga. Le partite di cocaina da vendere ai consumatori di Gela e Mazzarino arrivavano direttamente dalla Calabria e dalla Lombardia.

IL RITORNO DEI PERDENTI

L’arresto di tutti i corleonesi dopo le stragi del ’92-93 ha liberato dall’incubo della persecuzione “gli scappati”, le famiglie perdenti della seconda guerra di mafia andati in esilio in America. Infatti, tornate ormai da anni a Palermo e in Sicilia, i loro membri si muovono liberamente e fanno affari.

L’inchiesta “Xydi” ha certificato come il clan americano dei Gambino ha ripreso gli storici contatti con la mafia agrigentina, in particolare con quella di Castrofilippo. I traffici sono stati di diverso tipo: attraverso bonifici, e soprattutto con carte di credito “a spesa illimitata”; in Kosovo, con Sandro Mannino legato agli Inzerillo di Palermo; con soldi sporchi che partivano da Singapore e arrivavano nei porti siciliani. In particolare in quello di Catania, che era ancora libero da ipoteche mafiose.

Ma è stata l’operazione antimafia “Crystal Tower”, portata a termine traTorretta e gli Stati Uniti, che ci ha raccontato di un legame mai interrotto. I luoghi sono gli stessi, Torretta e New York. Le famiglie mafiose coinvolte con i medesimi cognomi, Gambino e Inzerillo. Organizzazione, rituali e rapporti sempre uguali e sempre solidi. Un sodalizio indissolubilefra clan siciliani e clan americani.

MATTEO MESSINA DENARO

L’ultimo dei corleonesi e il numero uno dei ricercati è ancora potente e godrebbe di altolocate protezioni. Anche se le persone che gli stanno attorno vengono continuamente arrestate e lui è sempre più braccato.

Matteo Messina Denaro

L’inchiesta “Xydi” ha rivelato che ci vuole ancora l’assenso e il permesso di Matteo Messina Denaro per intraprendere strategie delicate e pericolose. E soprattutto ha confermato la posizione di assoluto predominio del superlatitante non solo sulla provincia di Trapani ma anche sul mandamento mafioso di Canicattì. Una dimostrazione, quest’ultima, dell’unitarietà di Cosa Nostra siciliana.

E che il super-ricercato è rispettato e sempre interessato a fare soldi lo ha confermato l’operazione “Doppio gioco”. Al nipote di Matteo Messina Denaro, Francesco Guttadauro, si stava fornendo il necessario know-how per entrare nel giro del lucrosissimo affaredellescommesse on line, la cosiddetta “mafia da tastiera”.

I NIGERIANI

Con l’operazione “Showdown” si è confermata nel quartiere palermitano di Ballarò la capillare presenza dei “cult” nigeriani. In special modo dei Viking,che controllano lo spaccio di droga e la prostituzione delle giovanissime connazionali.

È la vendita del crack il vero affare nel centro storico palermitano. Ottenuto dalla frantumazione della cocaina, l’esiguità del prezzo, 5-10 euro per dose, ne permette l’acquisto da parte dei minorenni. È particolarmente pericolosa, non solo perché crea subito dipendenza, ma soprattutto perché reca forti danni al sistema nervoso centrale. I decessi, inoltre, provocati da questa sostanza sono numerosi.

Mal tollerati e osteggiati all’inizio, i nigeriani sono ben presto venuti a patti con la mafia locale.Sono statele rivelazioni ditre pentiti delle cosche del palermitanoa raccontare come“I nigeriani non si devono toccare. Anzi si devono tutelare”. Perché – dicono i pentiti – i nigeriani, fanno il lavoro sporco, cioè il traffico di eroina, che riguarda le fasce basse, le più turbolente dei consumatori. La cocaina, invece, che viene smerciata nei quartieri alti della società, è sotto il controllo di Cosa Nostra.

A impartire l’ordine di buona convivenza e reciproco interesse sarebbe stato Paolo Lo Iacono, esponente della famiglia di Palermo Centro, considerato l’elemento di raccordo fra la mafia palermitana e la criminalità nigeriana.

I LEGAMI ISTITUZIONI – MAFIA

Una delle connotazioni della mafia è quella di avere goduto protezione da parte del potere e avere mantenuto rapporti molti stretti con gli organismi statali. Ebbene,nell’operazione “Sipario” a Catania e “Jato bet” a S. Giuseppe Jato si sono verificati ancora entrambe queste condizioni.

Nella prima inchiesta, un referente dei clan, un vice brigadiere della Guardia di Finanza e tre vigili urbani sono stati arrestati perché d’accordo su affari, favori e scambi elettorali. Nella seconda, un comandante dei vigili urbani ha avuto contatti e ha protetto noti esponenti mafiosi locali.

La domanda drammatica che si pone è: “Come si può pretendere dai cittadini l’osservanza delle leggi e la fiducia nello Stato se alcuni suoi esponenti di rilievo camminano ogni giorno a braccetto con criminali e malavitosi? L’omertà, la rassegnazione, lo scettiscismo verso le istituzioni, non nascono forse da questo sconsolante stato di cose ancora oggi vigente in molti centri siciliani e del sud d’Italia?”.

LA “SIGNORIA TERRITORIALE”

Un altro caposaldo del fenomeno mafioso ha trovato riscontro in due operazioniportate a termine a Palermo.

Nella città simbolo del potere mafioso, vige rigorosamente e viene sempre applicato il concetto di “Signoria territoriale” coniato dallo studioso palermitano del fenomeno mafioso Umberto Santino. Contrade, strade, perfino marciapiedi, sono divisi rigidamente in zone fra le varie famiglie mafiose. E guai se qualcuno si permette di sconfinare senza il necessario permesso.

Nelle intercettazioni di “Game over II”ascoltiamo: “A destra c’è l’Uditore, a sinistra c’è Cruillas”. Che nel linguaggio di Cosa Nostra significa “Qui comanda la famiglia dell’Uditore, lì la famiglia di Cruillas”.

A Pagliarelli, invece, l’operazione “Brevis” ha certificato l’esistenza di un’autorità autonoma all’interno dello Stato italiano, con propri controlli, interventi punitivi, giustizia riconosciuta e rispettata. Un sistema parallelo a quello ufficiale, più efficiente e rapido. Cosa Nostra cioè esercita un potere effettivo e supremo su una parte estesa del territorio statale.

CHI COMANDA ADESSO?

Il quesito più frequente fra chi si occupa di mafia è: “Chi comanda adesso?”.

La risposta non è semplice, e riflette l’attuale condizione di Cosa Nostra: allentamento delle tradizionali regole, frammentazione sul territorio, mancanza di una direzione autorevole e riconosciuta. E anche da queste inchieste non esce un’indicazione sola e univoca.

Emblematica la situazione creatasi nel mandamento di San Lorenzo – Tommaso Natale con l’operazione “Bivio 2”. In una delle zone più violente di Palermo si combatte la battaglia fra la vecchia Cosa Nostra e i nuovi capi delle famiglie mafiose.

Mandamento che negli ultimi anni ha subito ben dieci operazioni antimafia, affiliati e capifamiglia si trovano davanti ad una scelta, a un bivio come dice il nome di questa operazione: seguire le direttive dell’ultima Commissione provinciale ricostituitasi a Baida il 29 maggio del 2018, o negare “la legittimità” di questa nuova Cupola?

Giulio Caporrimo, che ultimamente ha riaffermato il proprio potere, non ha dubbi, e ha le idee abbastanza chiare. Nei frequenti soliloqui captati dalle cimici installate nella sua macchina dice: “Questa non è più Cosa Nostra. Non possono due, tre mandamenti fare la Commissione. E poi sono tutti pentiti, e si spaventano. Quando gli proponi di fare qualcosa di serio, scappano, hanno paura. Si sono ridotti come gli stiddari. Cosa Nostra è ormai come la Stidda. Questa è una “Cosa come ci viene, come ci appare a loro”. Cosa Nostra è come un campo di zingari”. E infatti Caporrimo, uscito dal carcere, non riconosce il potere del reggente designato dalla Commissione.

Quello che è successo a Ciaculli con le due operazioni “Tentacoli” e Stirpe”rende ancora più evidente l’attuale evoluzione della Cosa nostra palermitana. Le famiglie della città, quelle sconfitte dalla seconda guerra di mafia, quelle che comandavano prima della “dittatura dei corleonesi”, si stanno riprendendo a poco a poco tutto il loro potere.

I Greco di Ciaculli hanno restaurato l’antica egemonia e sono tornati a comandare nel loro Mandamento. Infatti, sono i discendenti di Michele Greco il Papa che da qualche anno dirigono le estorsioni e il traffico di stupefacenti. Al contrario, le famiglie di Brancaccio e Corso dei Mille, che negli ultimi trent’anni avevano affiancato Riina e Provenzano, hanno perso terreno e si sono ritirate.

Di segno opposto quello che avviene a Bagheria, dove “i corleonesi” resistono ai palermitani. Nelle intercettazioni dell’operazione “Persefone” sentiamo infatti “Qui a Bagheria comandiamo noi. Nella storia, Palermo ha sempre fatto quello che diceva Bagheria. I palermitani si stessero a Palermo, e quando devono venire qui, devono chiedere il permesso. Io sono uno di quelli che ha fatto la storia”. A parlare è il nuovo reggente di Cosa nostra a Bagheria, quello che ha aiutato Bernardo Provenzano nella sua latitanza. Colui che ha preso il posto del nipote di Settimo Mineo, il capo mandamento di Pagliarelli che era al vertice della Commissione provinciale ricostituitasi nel maggio del 2018.

Insomma, a Palermo, ma un po’ in tutto il territorio siciliano, si combatte una lotta fra la vecchia e la nuova mafia per la supremazia nel territorio.

                                                                                               Giovanni Burgio