Archivio mensile:marzo 2023

A BAGHERIA IL RIGIDO CONTROLLO DEL TRAFFICO DI DROGA

Operazione “Persefone 2”

Il blitz di giovedì 23 marzo che ha portato in carcere 9 persone, 8 ai domiciliari, 4 all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, investe ancora una volta la famiglia mafiosa di Bagheria. Infatti l’operazione Persefone 2” è il prosieguo dell’indagine Persefone che nel settembre 2021 fece arrestare 8 persone (https://www.maredolce.com/2021/09/24/mafia-a-bagheria-i-corleonesi-resistono-ai-palermitani/). Nella retata del 23 marzo coinvolte pure le famiglie palermitane di Brancaccio e Porta Nuova.

Al centro dell’inchiesta c’è il traffico e lo spaccio di droga. Uno smercio, in media, di un chilo e mezzo di cocaina al mese, i cui proventi in parte venivano utilizzati dai boss per sostenere le famiglie dei detenuti.

Iniziate nel 2019, le indagini hanno inquadrato il passaggio di potere da Onofrio Catalano a Massimiliano Ficano. Una successione al vertice della famiglia di Bagheria incruenta e indolore, tanto da lasciare al Catalano la gestione del traffico degli stupefacenti.

Nelle carte dell’indagine si legge che questa organizzazione mafiosa ha una struttura rigida e verticistica. Dice infatti il giudice “C’è stabilità dei ruoli, ripetizione delle condotte, disponibilità comune di auto e moto, una condivisa terminologia criptica, una rendicontazione sistematica”. Insomma, regole ben precise e un controllo capillare ed efficiente delle piazze di spaccio della cittadina del palermitano.

Base operativa fondamentale del traffico di droga era una casa con l’intero nucleo familiare coinvolto: Salvatore Salerno, la moglie Rosaria Di Gregorio, i figli Giuseppe e Leandro. Alle dipendenze del Catalano che procurava la merce, tutti i membri di questa famiglia si occupavano di rifornire i pusher e raccogliere i proventi. Soldi e conteggi nei quali si è in particolar modo distinta la donna, che con perizia e pazienza certosina effettuava i calcoli degli incassi.

A fornire le partite di droga alla cosca di Bagheria sarebbero stati i mandamenti palermitani di Porta Nuova e Brancaccio, rispettivamente nelle figure di Francesco Paolo Lo Iacono e Stefano Marino. Quest’ultimo, della famiglia di Roccella, è un personaggio molto noto alle cronache del traffico di droga a Palermo, oltre ad essere stato coinvolto assieme al fratello nelle truffe alle assicurazioni dei cosiddetti “Spaccaossa”.

Quest’inchiesta ha rivelato inoltre che per l’approvvigionamento degli stupefacenti, oltre ai consueti canali campani e calabresi, si stava tentando una nuova strada. Un contatto che avrebbe portato in Piemonte, e più precisamente a Torino.

Giovanni Burgio

31 marzo 2023

UN OMICIDIO, UN ARRESTO, UNA LOTTA SPIETATA PER IL POTERE

A Palermo nel mandamento mafioso di Porta Nuova

Il 27 febbraio a Palermo, con l’arresto di Onofrio Lipari forse si è trovato il colpevole dell’assassinio di Giuseppe Di Giacomo, freddato nella sua Smart il 12 marzo 2014 in via Eugenio l’Emiro alla Zisa. Nello stesso tempo, però, è stata respinta la richiesta di arresto per Tommaso Lo Presti considerato dalla Procura il mandante dell’omicidio.

Onofrio Lipari è figlio di Emanuele Lipari, ambedue già noti esponenti della famiglia mafiosa di Porta Nuova. E la chiave di lettura di uno degli omicidi che in questi ultimi anni si sono verificati nel mandamento palermitano di Porta Nuova, ben sei compreso quello “eccellente” dell’onorevole Fragalà, sarebbe il fortissimo scontro per il potere fra fazioni e gruppi contrapposti.

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Per ricostruire tutta la vicenda bisogna andare indietro nel tempo, quasi 10 anni fa.

Arrestato nel 2013 il capo mandamento di Porta Nuova Alessandro D’Ambrogio, secondo il pentito Giuseppe Chiarello, Tommaso Di Giovanni e Nicola Milano, per un periodo al posto di comando, dovendo scegliere il loro successore decisero che “stavolta tocca a Giovanni”. Il Giovanni scelto era Giovanni Di Giacomo, killer del gruppo di fuoco dei corleonesi nella seconda guerra di mafia. E siccome quest’ultimo giaceva seppellito in galera all’ergastolo, ma rimaneva pur sempre un autorevole e potente boss, fu il fratello Giuseppe a prendere lo scettro del potere nel mandamento.

L’omicidio di Giuseppe Di Giacomo

Da quel momento in poi il regno di Giuseppe Di Giacomo è disseminato di intrighi e malumori, maldicenze e trame oscure. Infatti, oltre ad essere accusato di non aiutare le famiglie dei detenuti, Di Giacomo ha nel mirino i Lipari, sospettati di volersi impadronire del “Pannello”, gli incassi cioè delle sue sale scommesse.

Inoltre è appena uscito dal carcere Tommaso Lo Presti, il pacchione, che vuole comandare pure lui a Porta Nuova. Un’insidia quindi per Di Giacomo che vede attaccato il suo potere. Secondo il pentito Vito Galatolo questo scontro ha il suo apice nello schiaffo, o in un’altra offesa, lanciata dal Di Giacomo al Lo Presti. Un gesto imperdonabile. Una guerra vera e propria all’interno della cosca.

Si arriva così al 12 marzo 2014, quando alle sette di sera Giuseppe Di Giacomo cade colpito dai proiettili sparati dai killer a bordo di uno scooter.

Le intercettazioni dei giorni successivi l’omicidio raccontano di una vendetta decisa dal carcere da Giovanni Di Giacomo nei confronti dei Lipari, ritenuti gli autori dell’omicidio. E di questa ritorsione si doveva fare carico Tommaso Lo Presti, cosa che non fece mai.

9 anni dopo il procuratore Maurizio De Lucia e l’aggiunto Paolo Guido ritengono che il colpevole del delitto sia Onofrio Lipari e il mandante Tommaso Lo Presti. Quest’ultimo però non è stato arrestato perché mancano gli “idonei riscontri”.

Questa è la ricostruzione dei fatti sulla base di numerose intercettazioni, dichiarazioni di pentiti, deduzioni degli investigatori.

L’AMORE DOPO IL DELITTO

Ma a margine dei nudi e crudi fatti accaduti, ci sono delle conversazioni captate all’interno della famiglia Lipari che rivestono una particolare importanza. Infatti questi dialoghi fanno comprendere dinamiche, comportamenti, modi di pensare delle famiglie dei boss. Un interessante spaccato psico-sociologico dell’agire criminale.

Quando i Lipari apprendono che il figlio dell’ucciso si vuole fidanzare con una loro nipote, entrano in ambasce e non sanno cosa fare. Infatti si chiedono “E’ un astuto proposito di vendetta del giovane che da piccolo ha assistito al delitto e ora si vuole vendicare? O è un sincero e autentico trasporto verso la ragazza? Come si può fermare questo complicato e difficile rapporto fra i due ragazzi?”.

Indipendentemente da queste ansie e preoccupazioni che si agitano all’interno della famiglia Lipari, per gli inquirenti queste esternazioni offrono un indubbio riscontro alle loro ipotesi d’accusa.

Giovanni Burgio

18 marzo 2023

ARIA ANTICA NELLE MADONIE

Colpiti i mandamenti mafiosi di Trabia – Caccamo e San Mauro Castelverde

Nel regno che fu di Nino Giuffrè, fra la spiaggia di Campofelice di Roccella e i campi di carciofi di Cerda, si muovono ancora i suoi fedelissimi, i suoi rampolli, che non si rassegnano ai continui arresti, ai sequestri, alle confische di beni.

Martedì 28 febbraio sono andate in carcere 5 persone e 8 ai domiciliari. I mandamenti mafiosi colpiti sono stati quelli di Trabia – Caccamo e San Mauro Castelverde. Quell’ampia fascia di territorio tra il mare e la catena montuosa delle Madonie, in passato rifugio di latitanti eccellenti e sterminata aria di sacco edilizio per riciclare denaro sporco.

INDIETRO NEL TEMPO

Ma ancora una volta, aldilà dei soliti traffici di stupefacenti, minacce ed estorsioni, emerge una quotidianità della vita mafiosa e dei suoi boss che ci riporta indietro nel tempo. Una realtà arcaica e un ambiente umano espressioni di mentalità patriarcali e modi padronali.

L’anziano 84enne Giuseppe Rizzo, oltre a pretendere da moglie e figlia un menù sempre diverso dalla “solita pasta e lenticchie”, proibisce alle donne di affacciarsi al balcone, riempie di botte e percosse le due familiari, costringe la moglie a rapporti sessuali non voluti. “Cafudda, cafudda sempre – dicono le due donne – Mi ha sminnato la faccia… Mi ha dato legnate”.

Anche il figlio di Giuseppe, Pino Rizzo, non è da meno nel rapporto con il genere femminile. Telecamere e cimici hanno registrato in aperta campagna un suo tentativo di violenza sessuale nei confronti di una quindicenne che ha resistito ed ha evitato l’abuso.

Pino Rizzo

PINO RIZZO

Ed è proprio Pino Rizzo il personaggio di maggior rilievo in quest’indagine. Ex luogotenente di Giuffrè, uscito dal carcere dopo 17 anni, immediatamente cerca di riprendere le redini del mandamento che lo zio, Rosolino Rizzo, aveva affidato a Luigi Antonio Piraino. Di quest’ultimo Pino Rizzo non ha una buona opinione, perché, secondo lui, impone il pizzo anche ai piccoli commercianti e non si fa rispettare. Lo chiama persino “Paperino”.

Ma anche Pino Rizzo deve difendersi all’interno della sua cosca da una cattiva fama creatasi negli anni. Infatti, sua moglie, Rosalia Iuculano, è diventata una collaboratrice di giustizia, e con le due figlie ha preso le distanze dal marito ed è andata a vivere altrove. Una “macchia” per un mafioso e una inaffidabilità per tutta l’organizzazione inaccettabili. Tanto che il carismatico e autorevole zio Rosolino non apprezza molto il nipote.

LA DROGA

L’attività di spaccio era organizzata e gestita da Pino Rizzo, ma anche Pietro Cicero, Gaetano Piraino e Ignazio Piraino avevano un ruolo importante. E per avere l’entità dell’affare della droga in questa parte della provincia palermitana si può citare quanto diceva Ignazio Piraino in un’intercettazione “I tuoi tremila euro al mese li puoi mettere da parte… e di questi tempi sono soldi”.

Altra figura importante in questo commercio di stupefacenti è Giada Quattrocchi, compagna di Pino Rizzo. Oltre a piazzare la droga tra le amiche, avrebbe assunto un comportamento estremamente attento adottando rigorose misure di cautela.

NELLA TESTA DI UN MAFIOSO

Ma questa indagine ci fa capire meglio cosa c’è dentro la testa di un mafioso e quali sentimenti e pulsioni muovono i suoi comportamenti. Infatti è abbastanza importante riportare quanto è accaduto tra il padre, Pino Rizzo, e le sue figlie, dopo che la madre ha deciso di saltare il fosso e rivelare tutto quello che sapeva delle attività illecite.

Alla sollecitazione delle due ragazze che spingono il padre a collaborare con la giustizia, Pino Rizzo risponde “Non è possibile. Papà è nato per fare questo. Vi dovete rassegnare”. E alla proposta di cambiare vita, lasciare la Sicilia, rispondeva che non poteva, che aveva paura di essere ammazzato.

Insomma, un destino segnato e una fine inevitabile a cui è impossibile sfuggire.

Giovanni Burgio

8 marzo 2023