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TRA COSA NOSTRA E NIGERIANI UN’UTILE COLLABORAZIONE

8 luglio 2021

Le ultime rivelazioni di tre pentiti sulla droga a Ballarò

Sui tormentosi quesiti che continuamente vengono posti e che chiedono se Cosa Nostra palermitana controlla, o invece tollera, o addirittura è stata scavalcata dai clan nigeriani a Ballarò, intervengono le dichiarazioni di tre pentiti.

Emanuele Cecala, Francesco Lombardo e Alfredo Geraci concordano sull’episodio – chiave che può fare luce sui rapporti fra i “cult” nigeriani e le famiglie mafiose. Nel carcere di Pagliarelli, dopo un fallo di gioco durante una partita di calcio, il palermitano Antonio Serenella dà due schiaffi al nigeriano Aifè. Il rischio di una violenta controrisposta è grosso, e allora interviene Paolo Lo Iacono, uomo della famiglia mafiosa di Palermo Centro: “I nigeriani non si devono toccare. Anzi si devono tutelare”. Serenella viene quindi rimproverato e costretto a chiedere scusa ai nigeriani, che non si vendicano.

Ma perché i “cult” africani devono essere lasciati in pace? Perché si devono lasciare fare? Perché Gino Di Salvo, boss di Bagheria, arriva perfino a dire che “se c’era bisogno si dovevano aiutare queste persone, mettersi a disposizione, fargli la spesa, ecc.”?

Perché – dicono i pentiti – loro, i nigeriani, fanno il lavoro sporco, cioè il traffico di eroina che riguarda le fasce basse, le più turbolente dei consumatori. La cocaina, invece, che viene smerciata nei quartieri alti della società, è sotto il controllo di Cosa Nostra palermitana.

Queste testimonianze, raccolte negli ultimi mesi dal pubblico ministero Gaspare Spedale e dal sostituto procuratore generale Carlo Marzella, confluiscono nel processo d’appello che in primo grado, nel novembre 2019, aveva visto cadere per i nigeriani le ipotesi di associazione mafiosa. Accusa che però aveva retto nello stesso processo celebrato con il rito abbreviato e finito con 14 condanne.

Gli avvocati difensori dei nigeriani rispondono a queste nuove rivelazioni affermando che la Corte di assise ha già assolto gli imputati perché non è stata provata l’appartenenza alla Black Axe, e che, inoltre, a questa organizzazione non sono state riconosciute le caratteristiche di associazione mafiosa. La Procura, però, dopo queste ultime testimonianze è convinta che questa particolare tipologia può essere applicata, così come ha retto in altri procedimenti giudiziari.[1]

Aldilà del dilemma giuridico, rimane il fatto incontestabile che Ballarò ormai da anni è egemonizzato dai nigeriani, ed è uno dei mercati più fiorenti dello spaccio del crack, la nuova e micidiale sostanza chimica consumata dai più giovani.

Giovanni Burgio


[1] Le notizie riportate sono state pubblicate da LiveSicilia.it il 27 e 29 giugno 2021.